Il periodo perinatale rappresenta, per la donna, un momento di cambiamenti fisici, emotivi, nonché socio-economici che possono avere un impatto significativo sul livello del benessere generale.
Bauer e colleghi (2016) riportano che una donna su dieci manifesta sintomi psicopatologici di rilievo durante il periodo di vita in oggetto.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013) inserisce la depressione perinatale tra i disturbi che possono insorgere in questa delicata fase dell’esistenza. Si tratta di un fenomeno articolato che rischia di ripercuotersi sul futuro sviluppo fisico ed emotivo del nascituro (Bauer et al., 2016). I figli delle madri che soffrono di depressione perinatale, infatti, sono esposti ad un più alto rischio di nascere sottopeso, di manifestare ritardi nella crescita fisica, intellettiva e relazionale (Kingston e Tough, 2014).
Osservando il fenomeno dal punto di vista biologico, sappiamo che le repentine alterazioni dei livelli ormonali costituiscono il correlato biochimico delle oscillazioni dell’umore osservate. In specifico: modificazioni a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, della prolattina e degli ormoni tiroidei.
Le variazioni neurobiologiche tipiche delle fasi pre e post partum, quindi, influenzano sicuramente l’instabilità dell’umore, ma il senso del fenomeno in questione rimane parzialmente oscuro se ci limitiamo ad un’analisi biologico-riduzionista.
Nonostante il vissuto di incapacità nel ricoprire adeguatamente il ruolo genitoriale sia esperienza tipica di molte delle neo mamme che soffrono di depressione post partum, in questo lavoro vorremmo soffermarci su un altro aspetto del problema.
Provando ad allargare i contesti di insorgenza del fenomeno, è interessante domandarsi circa l’esperienza vissuta dai padri delle donne affette da problematiche emotive legate al periodo pre/post partum. Nonostante, infatti, l’attenzione venga solitamente rivolta alla neo mamma, recenti studi suggeriscono la necessità di prendere in altrettanta considerazione l’esperienza dei padri (Biebel e Alikhan, 2016). Uno studio di Anding e colleghi (2016), ad esempio, ha rilevato la prevalenza di sintomi depressivi post partum nel 15,9% delle madri e nel 5,4% dei padri, e ha riscontrato una correlazione positiva moderata tra le due prevalenze.
Se l’ingresso nel ruolo genitoriale, da un lato, rappresenta l’inizio di un progetto di vita ricco di nuove esperienze emotivamente rilevanti, dall’altro, lo stravolgimento esistenziale che ne consegue può essere vissuto contemporaneamente in termini costrittivi. La nascita di un figlio, infatti, favorisce l’aprirsi di un nuovo ventaglio di possibilità di sé che, contemporaneamente, richiedono una profonda ridefinizione del proprio ruolo sociale e del proprio tempo, in definitiva, delle proprie possibilità d’azione.
Lo stress che ne consegue risulta essere il predittore più forte per i sintomi depressivi post natali sia nelle madri sia nei padri. Anding e colleghi (2016) e Paulson (2016), inoltre, sottolineano come i sintomi depressivi nell’uomo siano associati ad una maggiore deflessione dell’umore nella donna.
I risultati degli studi presi in esame suggeriscono, quindi, l’utilità di creare interventi, pre e postpartum, che si propongano l’obiettivo di intervenire prevalentemente sulla coppia genitoriale piuttosto che solo sulla futura/neo madre. Per approfondire l’argomento, abbiamo condiviso nell’area riservata del nostro sito gli articoli scientifici di cui abbiamo discusso (vedi STAY ALERT nell’area riservata).