Le opportunità offerte da Internet e la possibilità di essere sempre “connessi” tramite smartphone hanno modificato le nostre abitudini e le nostre modalità di relazione con gli altri e, di conseguenza, anche i possibili modi di essere patologici.
Le ricerche internazionali sul fenomeno suggeriscono di considerare la dipendenza da Internet o Internet addiction come un termine “ombrello” che fa riferimento a forme di dipendenze molto diverse nella loro fenomenologia quali, per esempio, il Social Media Disorder (SDM) e Internet Game Disorder (IGD).
Da un punto di vista clinico, un uso smodato e scorretto dei social network sembrerebbe associato a una sintomatologia simile a quella che si osserva in soggetti dipendenti da sostanze, tanto che è stato creato uno strumento diagnostico in grado di distinguere tra “dipendenza” e “uso frequente ma non patologico dei social media”.
Ad esempio, un recente studio olandese ha definito l’affidabilità e la validità di uno strumento per la valutazione del SMD (Social Media Disorder) in un vasto gruppo adolescenti tra i 10 ed i 17 anni, utilizzabile anche a scopi clinici, perché prevede anche un cut-off per la diagnosi di dipendenza (van den Eijnden e colleghi, 2016). Lo strumento si basa sulla rilevazione di sintomi depressivi, deficit di attenzione, livelli d’impulsività e solitudine/isolamento sociale e comportamenti che segnalano dipendenza e astinenza dall’utilizzo dei social (Facebook, WhatsApp, Instagram, ecc).
Da un punto di vista epidemiologico, il Social Media Disorder viene definito come un disturbo emergente soprattutto tra gli adolescenti (e in particolare nelle ragazze) che, via smartphone, si distraggono dalle attività quotidiane e dagli obblighi scolastici (Pantic, 2014; Ryan et al., 2014). Una recente review, inoltre, suggerisce che alti livelli di multitasking, per esempio uso dello smartphone durante le interazioni con altre persone o lo svolgimento di compiti sono collegati a deficit delle abilità di “attenzione sostenuta”(*) (Van der Schuur, Baumgartner, Sumter, & Valkenburg, 2015) senza però chiarirne il senso e le connessioni.
Da un punto di vista teorico-clinico, invece, i modelli prevalenti sono di matrice socio- cognitivista e comportamentista. Ad esempio, Turel and Serenko (2012) hanno elaborato tre prospettive (non mutualmente esclusive) al fenomeno della Social Network Addiction:
• Cognitive-behavioral model— l’“anormalità” dell’uso dei social network deriverebbe da cognizioni maladattive e sarebbe amplificata da diversi fattori ambientali.
• Social skill model— le persone che mancano di capacità relazionali preferirebbero impegnarsi in una comunicazione virtuale e farebbero un uso smodato/ scorretto dei SN.
• Socio-cognitive model—l’uso “anormale” dei SN sarebbe dovuto all’aspettativa di outcomes positivi, e a “capacità deficitarie” quali la Internet self-efficacy /Internet self-regulation
Gupta, Arora, & Gupta (2013) ritengono che la SNS addiction sia da trattare attraverso delle “strategie correttive” che includono un software di controllo dei contenuti, il counseling e la terapia cognitivo-comportamentale. Un esempio di suggerimenti dati ai pazienti sono: riconoscere la dipendenza da Facebook, iniziare a chiedersi cosa si fa su FB, scrivere il tempo trascorso su FB, darsi un tempo preciso di navigazione, togliere le notifiche delle e-mail, praticare meditazione quando il pensiero di FB compare.
Il POG (Problematic Online Gaming) sembra essere, invece, in base allo studio di Kiràly e colleghi (2014) meno comune e caratterizzato da minori tassi di livelli patologici.
Ma la dipendenza da social network è davvero «modellizzabile» secondo i criteri di una dipendenza da sostanze?
Come mai alcune forme di utilizzo della rete sono più soggette all’instaurarsi di comportamenti problematici?
Le implicazioni per l’intervento derivanti dai modelli socio-cognitivisti e comportamentisti offrono degli strumenti spendibili in psicoterapia?
Per favorire nei lettori lo sviluppo di una critica costruttiva circa questo tema, abbiamo messo nell’area riservata del nostro sito diversi recenti articoli scientifici, compresa una tesi di laurea seguita dal nostro gruppo di ricerca che si è occupata di definire il fenomeno del gioco on-line secondo un’ottica interculturale e sociologica (vedi STAY ALERT nell’area riservata).
(*) “Attenzione sostenuta è il termine cognitivista che indica, in senso fenomenologico, Essere assorbito, nel modo della cura, in una situazione; oppure: risolver-si nell’essere presso uno o più enti secondo specifici modi di cura”.