I temi legati alla parità dei diritti per le persone LGBTQI rivestono oggi una posizione centrale nel dibattito politico e sociale. I vari movimenti richiedono un trattamento paritario sotto il profilo del riconoscimento, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.
Aspetto fondamentale in questo scenario è l’accesso ai servizi sanitari e la qualità delle cure per le persone LGBTQI. Sono infatti sempre di più le realtà che denunciano una disuguaglianza nei contesti della salute, sia in termini di possibilità di accedere a percorsi di cura (medica o psicologica), sia in termini di adeguatezza e bontà dei servizi ricevuti (European Union Agency for Fundamental Rights, 2016).
Tra le tante iniziative attualmente in corso, ILGA-Europe (Associazione non governativa che raccoglie 490 associazioni LGBTQI di 45 paesi europei) sta conducendo “Health 4 LGBTI” un progetto pilota sull’indagine del diritto alla salute e alla qualità delle cure per le persone LGBTQI in tutti i paesi dell’Unione Europea. Dai risultati emergono significative disuguaglianze tra persone eterosessuali e cisgender e la popolazione LGBTQI.
Per quanto riguarda nello specifico la salute mentale, disponiamo ad oggi di ampia letteratura che testimonia l’esistenza di specifiche disuguaglianze di salute per le persone LGBTQI. Secondo un report della Commissione Europea pubblicato a Giugno 2017, nella popolazione LGBTI si riscontra infatti maggiore incidenza di disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, abuso di sostanze, atti autolesionistici e rischio suicidario (European Union, 2017) che si declinano poi in modo specifico: per esempio, negli uomini gay e bisessuali si rileva maggiore incidenza di disturbi dell’alimentazione (Meads et al., 2012); i pensieri suicidari sono frequenti soprattutto nella popolazione transgender e intersessuale, con percentuali che raggiungono rispettivamente il 63% (Reisner et al., 2016) e il 60% (Jones, 2016) dei casi; le donne lesbiche e bisessuali riportano rischio triplo di uso e dipendenza da alcool e sostanze (Colledge et al, 2015) e una maggiore probabilità di accedere a servizi di salute mentale (Chakraborty et al, 2011).
Queste evidenze vengono in parte spiegate in letteratura come conseguenza delle disuguaglianze di salute in merito all’accesso e all’uso dei servizi elencate precedentemente (European Union, 2017; Laughlin, Hatzenbuehler & Keyes, 2003) e alla luce di una rete coerente di rimandi in cui i concetti di etero-normatività, etero-sesissmo e cis-normatività comportano esperienze di stigma, discriminazione e violenza che concorrono ad aumentare le conseguenze negative del Minority Stress percepito (Meyer, 2013; Sattler et al, 2017; Valentine & Shipherd, 2018).
Inoltre, mentre la cronaca restituisce l’immagine di una società ancora densa di episodi di deliberata discriminazione omotransfobica, la peculiarità dei contesti di cura è che in essi si può assistere ad atti discriminatori anche in assenza di volontari e consapevoli agiti di intolleranza da parte dei professionisti.
Risulta evidente come in ambito sanitario la messa in atto di pratiche inadatte alla presa in carico del paziente LGBTQI rischia di tradursi in una errata risposta sia diagnostica che clinica. In fase di anamnesi e di cura, orientamento affettivo e identità di genere possono rappresentare due variabili importanti nella ricezione dei bisogni specifici e nella definizione di una strategia terapeutica efficace ed incentrata sulla persona.
Questi dati comportano pertanto la necessità per il professionista della salute mentale di prendere coscienza dell’esistenza di specifiche disuguaglianze di salute per la popolazione LGBTQI e dei fattori che concorrono a instaurarle e mantenerle, tra cui atteggiamenti scorretti, pregiudizievoli o lacunosi da parte del personale sanitario stesso. In Italia, per esempio, ricerche recenti segnalano la presenza di psicologi e psichiatri che, pur non veicolando esplicitamente atteggiamenti patologizzanti, indicano nell’eterosessualità una condizione preferibile/auspicabile (Lingiardi et al, 2013; Lingiardi, Tripodi & Nardelli, 2014); uno studio condotto su 3.135 psicologi italiani abilitati ha ritrovato atteggiamenti riparativi nel 58% del campione (Lingiardi, Nardelli & Emiliano, 2015). Le micro-aggressioni inconsapevoli che si verificano nella relazione terapeutica mettono a rischio l’intervento e concorrono ad aumentare il distress percepito dal paziente (Shelton & Delgaro-Romero, 2011).
Per questa serie di motivi le principali istituzioni nazionali e internazionali hanno pubblicato linee guida per il lavoro con le persone LGBTQI, che il professionista deve conoscere al fine di rispondere al meglio ai loro bisogni specifici ed evitare di mettere in atto atteggiamenti discriminanti o professionalmente scorretti.
Nello spazio Stay Alert abbiamo quindi riportato i principali documenti di Linee Guida e Buone Pratiche relative alla pratica clinica con persone LGBTQI, e le più recenti review sulle disuguaglianze di salute che le riguardano.