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I primi 1000 giorni di vita, dal concepimento ai due anni, come riportato da diversi studi e ribadito nel 2016 dal Ministero della Salute ne “Le strategie nazionali per la promozione della salute nei primi 1000 giorni di vita”, sembrano essere un lasso di tempo cruciale sia per quanto riguarda la diagnosi precoce, sia per la prevenzione, sia per l’intervento. Questo perché da una genetica deterministica siamo passati all’idea che la persona non possa essere geneticamente determinata.

Soprattutto nei primi 1000 giorni di vita -gli earliest years of life sopracitati- entrano in gioco le modificazioni epigenetiche dovute all’interazione dell’individuo con l’ambiente che lo circonda. E’ l’esistenza che cambia l’esistenza dispiegandosi ogni volta in un determinato contesto.

La plasticità sinaptica del neonato, ad esempio, è experience-dependent, determinata dal contesto: le modificazioni funzionali e strutturali avvengono dell’incontro tra geni, ambiente ed esperienza. Il periodo postnatale è uno dei cosiddetti “periodi critici”, finestra di tempo in cui i circuiti neurali si mostrano maggiormente sensibili all’acquisizione di segnali, adattivi o mal-adattivi, provenienti dall’ambiente.

L’impoverimento e l’arricchimento ambientale sono i classici modelli utilizzati per studiare la plasticità cerebrale experience-dependent e, anche se nascono da ricerche effettuate sui roditori, alcuni risultati sono paragonabili a quelli riscontrati in ricerche sull’uomo. Studi di neuroimaging in bambini orfani, ad esempio, hanno mostrato come un contesto “a ridotte possibilità ed esperienze affettive” porti a una diminuzione dell’attività metabolica in diverse aree cerebrali -nel giro orbito frontale, nell’amigdala, nell’ippocampo, nella corteccia temporo laterale, nel tronco encefalico- e alla riduzione del volume dell’amigdala.

Il fattore nurture indicato dalla letteratura come il più importante dopo la nascita è la relazione del neonato con il caregiver, interazione che avviene con una figura con la quale si è coinvolti affettivamente e che, soprattutto per la prima parte della vita, rappresenta la modalità primaria e quasi esclusiva di accesso al mondo e ai significati.

Come fattore nature, invece, si può citare la nascita pretermine, evento determinante degli esiti infantili avversi, in termini di sopravvivenza e di qualità della vita.

Acting early significa proprio individuare e affrontare il problema “nature” il prima possibile, ricercando i fattori di protezione nella relazione con il caregiver e nel contesto di riferimento.

Con i bambini nati pretermine gli interventi precoci possono iniziare già nell’Unità di Terapia Intensiva Neonatale (UTIN), per poi proseguire al di fuori del contesto ospedaliero.

Qui possiamo elencare alcuni programmi citati in letteratura e che hanno portato a risultati positivi: il “Family Nurture Intervention” (FNI), sviluppato proprio per controbilanciare effetti negativi della separazione madre-bambino, il “Newborn Individualized Developmental Care and Assessment Program”, che consiste in strategie per ridurre lo stress causato dal contesto dell’UTIN, e il programma “Creating Opportunities for Parent Empowerment”, per i genitori e che ha esito positivo in termini di maggiore e migliore interazione con il bambino.

Il “Kangaroo Mother Care” (KMC), inoltre, viene raccomandato dalla WHO nei bimbi nati pretermine o sotto i 2000 g di peso: presenta tutti i benefici dati dal contatto “pelle a pelle” tra bambino e mamma, non prevede costi, ed è quindi implementabile anche in Paesi in via di sviluppo o dove vi sono poche disponibilità economiche.

Il contesto nel quale siamo “gettati” fin dal periodo prenatale, e dal quale emergono i significati, è quindi una possibilità di azione per la prevenzione e la salute.